Eccomi qua
Alla fine ce l’ho fatta, posso dirmi quasi tranquillo. Quel “quasi” ve lo spiegherò alla fine.
Per la prima volta dopo 6 giorni, domani faccio la mia prima settimana, ho tempo per starmene seduto sul letto per un po’.
Forse , per la prima volta da quando mi sono detto: “Ma sì, andiamo in Erasmus”, ho cognizione di quello che sta accadendo.
L’inizio non è traumatico, è spaesante. Mi aspettavo una prima notte navigando tra le lacrime ed invece la mattina successiva mi sono svegliato e mi sono detto: “ Ok sono a Coimbra….” “ E adesso?”. Il mio Erasmus poteva anche finire lì, alla fine ce l’avevo fatta.
Per un cazzo! (scusate questa esclamazione della Coimbra bassa)
Fatta per niente. La burocrazia mi perseguita anche a decine di chilometri di distanza. Oltre a dover ricompilare tutti i moduli fatti in Italia e spediti con mia grande soddisfazione( dove finiscono quelli? In un tunnel della burocrazia interplanetaria?), ho dovuto anche chiedere il permesso di soggiorno allo stesso sportello delle ragazze angolane che dovevano compilare credo il modulo più lungo che sia mai stato elaborato. Praticamente inizi che chiedi la residenza e nel frattempo hai già cambiato stato civile. Insomma, alla faccia di Maastricht e Shengen…
Burocrazia a parte l’impatto non lascia indifferenti. A questa sensazione concorrono vari fattori.
- Nella zona dove vivo, nei primi tre giorni, ho incontrato per strada non più di 10 persone sopra i 28 anni
- I Portoghesi ( e da qui in poi intenderò sempre gli studenti, gli altri non so nemmeno come siano fatti) sono in festa per l’inizio delle lezioni, addirittura questa settimana ci sarà la noite dos horarios, in cui l’euforia generale deriva dal fatto che ognuno ha compilato il proprio piano di studi
- Sempre i portoghesi vanno in giro vestiti come dei becchini. E quando dico i portoghesi dico tutti, un buon 95 %. E’ il loro abito tipico, il Fato, se la mia comprensione del portoghese non mi inganna. Insomma sembra di essere in un grande set di un film di Tarantino, ovunque individui vestiti di nero, donne incluse, giacca cravatta eccetera. Le uniche escluse sono le matricole, le quali però devono prestarsi alle pratiche goliardiche dei più grandi. E non vi sto parlando di qualcosa che accade sporadicamente nei corridoi dell’università; nella piazza principale è normale vedere giovani con un cappello a forma di asino o una maglietta con scritte pseudo ingiuriose sulle matricole. Oppure qualcuno che cammina a gattoni per strada sotto lo sguardo vigile dei “becchini”. Ecco, osservava attentamente un mio compagno di viaggio oggi, più che becchini sembra di essere ad Ogwords, la scuola di Harry Potter. Fate un po’ voi…
- Gli Erasmus…beh quelli sono poco integrati con i locali, anche perché rappresentano una comunità a sé. Qualcuno mi ha detto che siamo 525, moltissimo per una città di 100.000 abitanti, di cui solo una piccola parte vive nel lato universitario. Qui la gente si conosce molto facilmente. Si parlano tutte le lingue, tranne il portoghese. Io che pensavo che, non sapendo nessuno il portoghese, per tutti fosse un problema in realtà non avevo capito nulla. Qui infatti se non sai francese e spagnoli perdi un sacco, maledizione, meno male che c’è l’inglese, ma viene un po’ snobbato a parte da chi viene dall’est. Tanti, troppi italiani. Ma non eccessivamente casinisti. Forse ci stiamo ancora ambientando.
Ma il vero motivo di spaesamento per me è stata la combinazione Erasmus=città piccola. Qui tutto ritorna, ricorre. Persone che a mattina vedi in ufficio la sera le rincontri per strada. Numeri di telefono di case che ti ha dato un amico, te li ritrovi già in rubrica quando cerchi di chiamarli. Io non conosco il mio vicino di casa a Milano e qui invece sembra che ci si possa conoscere tutti, in una sorta di grandissimo Truman Show.
Non che mi entusiasmi questo tipo di conoscenze fast-food. Ti presenti, scambi due parole e dimentichi. In sei giorni avrò stretto la mano a una cinquantina di persone, di queste solo di poche mi ricordo il nome. E allora accade che le rivedi per strada, loro magari riconoscono te ma tu non riconosci loro. Le hai già viste, ma dove? Che lingua parleranno? Quali domande avrai già fatto loro? Piccoli grandi problemi della vita Erasmus.
Il mio piccolo grande problema è di quattro lettere e no, non ha a che fare con la mia vita sessuale. E’ la casa. Ho scoperto che sono uno abbastanza meticoloso, preciso, esigente, insistente e anche un po’ rompiballe. Ho telefonato a 36 case per cercare la stanza giusta, di queste un buon due terzi o erano occupate o erano solo per ragazze, perché qui a quanto pare i ragazzi non hanno il diritto di dormire. Delle poche disponibili per ragazzi, sono riuscito a visitarne 10.
- Casa tenuta da vecchine gentili, alle quali per fare buona impressione ho pure scaricato la frutta. Se non ci fosse stato il frigorifero per le scale ci avrei anche pensato
- Mansarda 1. Altezza massima 1,50. Persino il proprietario si vergognava un po’ a presentarla, mi ha fatto anche un buon presso, 110 euro, ma voglio evitare di camminare sulle ginocchi nove mesi.
- Mansarda 2. Casa figa, piena di Erasmus + 2 Giapponesi. Non ho accettato, pensavo che la città offrisse di meglio, o forse volevo vedere TUTTE le case in affitto di Coimbra, e me la sono fatta sfuggire. L’ha presa un amico, meglio così
- Da non crederci. Chiediamo in una piccola abitazione ad un signore per una stanza. Il signore ci guarda, ci pensa, e dice: “ forse ho qualcosa per voi”. Ci conduce nel suo giardino, apre una sorta di baracca/ stanza degli attrezzi. Tutto in pietra, un letto, un tavolo, un lavandino e più ragni che metri quadrati. Fino all’ultimo non ho capito se scherzasse, quando poi ha detto 125 euro non ho più avuto dubbi.
- Casa bellissima, vicino all’università, piena di stanze grandi, ma vuote. Su tre piani vivono solo una portoghese e il proprietario. Come fosse possibile non lo so, una città senza un buco libero ed una casa così bella. Poi ho capito, lui era un po’ inquitante, una sorta di Norman Bates di Psycho, forse la portoghese ancora non l’aveva capito. Anche questa un po’ a malincuore l’ho abbandonata. Già vivere col proprietario è sempre un problema, se poi è uno psicopatico che si traveste da donna tanto peggio.
- Casa in periferia. La peggiore. Era tenuta da una donna baffuta che non so in quale regione possa essere sempre piaciuta. Piccola, lontana e triste. L’ho scartata appena ho visto i baffi di lei.
- Mansarda 3. Classico esempio di speculazione edilizia. Qui i Coimbresi fanno fortuna. Subaffittano case, mansarde e buchi in modo violento. Questo vuol dire che se possono ricavare una abitazione la ricavano. Questa era teoricamente per due, l’altro secondo me era rimasto incastrato in camera per non uscirne più. Bocciata, e poi vivere in 2 alla lunga ti fa odiare il tuo coinquilino
- Siamo nel podio. A questa ci ho pensato intensamente. E’ grandissima, e piena di porte chiuse. Ci vivono un portoghese e due foggiani che fanno morire. Sarebbe ottima, vicino all’università, ma non posso passare nove mesi con due foggiani. Ok che volevo imparare una lingua, ma il foggiano a Bahia e Lisbona non si parla. Peccato, si sarebbe mangiato da Dio
- Le ultime due sono le migliori.La prima è una casa enorme, abitata solo da studenti Erasmus, nessun italiano, wireless dappertutto, stanza un po’ piccola ma confortevole. Vicino al centro ma lontano dall’uni, e qui è tutto un sali e scendi unico. L’unico neo è che c’è la padrone in casa e non si può invitare nessuno, ma è talmente grande che anche invitando chi ci abita dentro, puoi fare un numero di combinazioni sufficienti per tutti nove i mesi. Avrei già accettato se non avessi già preso appuntamento per l’ultima.
- L’ultima è una casa con sei stanze, tre libere e tre abitate da spagnole. Sarebbe perfetta per la posizione e per la tipologia, non troppo dispersiva e con una compagnia no italiana. E poi ho palesemente fatto colpo sulla proprietaria. Io do il meglio di me con le donne over 40, non so per quale motivo piaccio sempre. Anche ai genitori dei miei amici ho sempre fatto un’ottima impressione.
Domani finalmente sarò in una di queste case, finalmente. Senza casa si è precari e non si è tranquilli. Questa vicenda mi ha già, come ho scritto nella mail a mia madre, “ridimensionato”. Forse mi aspettavo qualcosa di più bello, volevo la casa come me l’ero immaginata questi mesi. Non troppo grande, luminosa, con 6 o 7 studenti di tutte le nazionalità. Io l’ho chiamata “Sindrome dell’appartamento spagnolo”. E’ l’aver figurato il proprio Erasmus su misura al film “ L’appartamento spagnolo”, quando qualcosa si discosta dal film sono come non soddisfatto. Quel film ha fatto la rovina dell’Erasmus, quando torno ne faccio un altro io con tutte le mie di vicissitudini.
Fuori piove, come avevo previsto. Qui accadrà spesso e me ne dovrò fare una ragione. Milano mi sembra lontana, ma comunque sempre in questo mondo. I primi giorni mi sembrava di aver iniziato una nuova vita, come se mi avessero dato un nuovo nome, un nuovo volto e un nuovo corpo. Non riuscivo a rendere compatibile quel mondo sicuro e protetto che avevo lasciato con questo molto più incerto, sottoposto ad una serie infinita di stimoli.
Sarà la mia missione, in fondo è l’unica ragione per cui sono partito.
Jerome