Proprio mentre scrivo non so perché lo faccio.
Come ogni anno qualcuno deve riportare a Milano mio nonno, dopo il prolungato soggiorno in campagna. Ogni anno questa operazione tocca ad un nipote, quest’anno è toccato a me.
Tutto in quest’operazione segue una sorta di rituale. Accade sempre tra gli ultimi giorni di Agosto e i primi di Settembre, accade sempre per mano di un componente maschile della famiglia ( incredibile ma vero, nonno, ma anche le donne possono guidare autoveicoli) e la casa dev’essere “evacuata “ da presenze esterne almeno 3 giorni prima, un ‘eredità di quando mia nonna era ancora in vita e non voleva che ci fossero bambini per casa pronti a sporcare ciò che aveva appena pulito. Quindi rimaniamo solo io e mio nonno.
E’ difficile riproporvi l’aria che si respira in occasioni di questo tipo, come tutti i riti non sono gli eventi in se ad essere degni di nota ma il carico di significato simbolico che si portano dietro.
Quest’anno tutto è reso un po’ più malinconico dal fatto che mio nonno ha quasi 91 anni e io sto per partire per 9 mesi verso un posto parecchio lontano. Il valore diverso che le persone danno al tempo non è mai tanto evidente quanto in occasioni così. Nove mesi per una persona che sente purtroppo avvicinarsi la fine, un po’ per scaramanzia un po’ no, sono un’eternità, un tempo lunghissimo. Per noi sono un anno accademico, un campionato di calcio, una stagione cinematografica, un tempo che dimentichiamo in fretta.
Molti mesi fa mi aveva colpito molto una riflessione di Enzo Biagi durante la trasmissione di Fabio Fazio. Niente di trascendentale, forse non avevo mai avuto modo di pensarci. Esistono sistematicamente dei periodi della propria vita in cui si guarda in determinate direzioni. Da giovani si può guardare dappertutto, ma soprattutto verso il futuro, ed è giusto che sia così, con tutta l’incoscienza del caso. Ma divenuti anziani si può guardare soltanto indietro, osservando quello che abbiamo fatto, magari ripercorrendo gli errori compiuti.
Oggi,complice forse il fatto che per molto tempo non ne avremmo più avuto l’occasione, sono emerse nella discussione con mio nonno riflessioni che mi hanno fatto riflettere molto.
Mi sono reso conto che se il mondo in cui sono cresciuti i miei genitori mi sembra così distante da questo, quello di mio nonno mi sembra davvero ancora più lontano.
Sembrerà un discorso ingenuo, ma c’è stato davvero un tempo in cui questo paese si stringeva attorno a valori che oggi noi diamo per scontati, secondari, marginali o accessori.
Con un po’ di malinconia, parlando di un amico di famiglia che a 30 anni non si sentiva pronto di sposarsi, gli è sfuggito un commento laconico: “Ma quando ci si sente pronti?”
E’ sintomo del fatto che oggi il mondo è permeato di valori completamente diversi se ci stupisce per così poco. Come quando riferendosi ad una possibile promozione che gli avrebbe permesso un avanzamento di carriera notevole a patto di trasferirsi a Padova mi ha risposto: “ Non l’ho neanche detto a tua nonna. Avrebbe accettato, ma sarei dovuto tornare soltanto durante i weekend”.
Non è la frase in se che mi sorprende, quanti lavoratori si trovano in situazioni analoghe oggi? E’ la naturalezza con cui una frase del genere viene pronunciata, come se fosse la cosa più scontata.
Ripenso al ’68, e a tutti i muri che ha abbattuto nella sua ondata. Forse fra i tanti detriti di vecchio che si è portato con se, c’è anche un po’ di questo attaccamento così incondizionato a valori come la famiglia.
Certo l’istituzione così come era pensata prima del ’68 era piena di ipocrisie, di bugie, di imperfezioni. L’istituzione è stata abbattuta, nella speranza forse che, ripensata, molti dei suoi limiti sarebbero potuti essere superati. Ed invece imperfezioni, bugie e ipocrisie sono rimaste, si sono soltanto palesate in modo più lampante, sono balzate agli occhi di tutti, hanno rotto famiglie che forse un tempo sarebbero rimaste unite a costo di mille falsità.
Ecco perché il dibattito sulla famiglia oggi mi sembra davvero arido, povero. Non è sulla forma che si deve orientare la discussione, si ripeterebbe quello che il ’68 forse voleva fare e non è riuscito.
Fiumi di inchiostro vengono spesi sui giornali a discutere di PACS e non PACS ignorando che il problema non sta lì. Sarebbe infatti il caso di interrogarsi sul perchè la famiglia, così come pensata fino ad ora, è entrata in questa fase di crisi. Quali sono i valori che la minano, che la mettono in crisi. E' un'analisi che andrebbe affrontata su più fronti; tanto per cominciare una società che non è in grado di offrire certezze professionali ai suoi componenti, difficilmente potrà pretendere da questi certezze sulla propria sistemazione di vita. Ad una precarietà lavorativa, una sorta di precarietà affettiva, come i PACS sembrano fare, è l'unica e legittima risposta.
Ma non solo. Una società non può contemporaneamente predicare un individualismo latente che si insinua silenziosamente e pretendere che allo stesso tempo un'istituzione che si fonda sulla condivisione non venga messa in crisi.
Se sono i valori a partire dai quali si fonda il concetto di famiglia ad essere in crisi non saranno certo altre forme che ad esse più o meno si avvicinano a metterla in crisi, perchè quest'ultima ha radici molto più profonde. E' come se pensassimo di guarire una malattia cambiandoci i vestiti, e ancor peggio pensassimo che il nostro male dipendesse dal tipo di indumento indossato.
Certo vorrei che la stessa energia che viene spesa per dibattere sui PACS e le coppie di fatto venisse profusa più in profondità, interrogandoci sui valori attorno ai quali costruire la società del futuro. Personalmente che siano matrimoni o coppie di fatto mi è del tutto indifferente, purchè in grado di affrontare con forza quelle contraddizioni che sopra menzionavo.
Forse la fortuna di questa generazione è che può," guardando dappertutto", guardare indietro agli errori dei propri nonni ma anche a quelli dei propri padri, che un modello rinnovato di quella famiglia che un tempo osteggiavano non sono alla fine riusciti ad elaborarlo.
Solo salvando il meglio dalle esperienze di entrambi, e attraverso una critica costruttiva che tenga presente del mutare della società attuale, il dibattito sulla famiglia può davvero essere definito tale.
Pacs o non pacs.
Jerome