Non riesco a dormire.
Sto aspettando una risposta. Una di quelle risposte che ti cambiano la vita. In un secondo un numero su un pezzo di carta, qualche frammento di bit su un documento pdf, possono decidere i miei prossimi due anni.
Ho deciso cosa voglio fare nella vita. Ci sono arrivato dopo diversi passaggi.
Credo di aver voluto davvero fare l'astronauta fino alla quinta elementare. Poi ho scoperto che il mio stomaco non reggeva i tornanti del Monte Penice, e che di questo passo avrebbe incontrato qualche resistenza anche con accelerazioni da 5000km/sec.
Credo di aver voluto fare anche il calciatore. Ma a 13 anni nei ragazzi accadono misteriose mutazioni ormonali e scopri che il centravanti che hai marcato fino all'anno prima è cresciuto di 20 cm in 6 mesi e ha le spalle che sono diventate il doppio delle tue.
Allora cominci a pensare che non crescerai mai e che nessuna squadra prenderà un bamboccetto come te.
Poi scopri pure che sei pure scarso, ma questa è un'altra storia.
A 16 anni ho deciso che sarei diventato regista. "Si come Dawson, e allora?": il cammino verso una professione così ambita è ancora più tortuoso se con il biondo protagonista di "dawson's creek", oltre alla passione per il cinema, condividi anche un'imbarazzante capigliatura.
E allora mi sono liberato della capigliatura. Ma poi ho cominciato a pensare a tutti i film che non avevo visto, e che il mio film continuava ad essere "Gattaca", nonostante la mia passione mi avesse spinto verso autori di tutto rispetto.
Forse mi mancava la sensibilità. Il cuore era regista, ma la pancia era ancora da spettatore.
A 18 anni ho scoperto che il vero lusso non sarebbe stato dirigere un film, ma scriverlo. Mettere in bocca ai personaggi le tue battute, decidere tu la loro sorte. Immaginare le parole prendere corpo nella tua mente in manichini immaginari. Fantastico.
Allora ho cominciato a scrivere. Il corto sull'ultima corsa dell'ultimo tram della storia di Milano, il corto del ragazzo infelice che indaga sul suicidio di un suo coentaneo a centinaia di km di distanza ed infine il lungometraggio.
Dopo sette stesure, due anni di lavoro. Cambiamenti di trame, personaggi, attori, spunti, battute ecco "Buone ragioni per mentire". 123 pagine che mai nessun regista potrà mettere in scena.
La sceneggiatura giace ancora lì, nella mensola sotto lo stereo. Nessuno ha mai letto la versione finale, ultimata. Meglio così, non mi è mai piaciuta. E dico sul serio, non come quegli artisti puzzoni che firmano dei capolavori e dicono "Sì, stavo per cestinarlo ma poi non volevo scendere a portare giù l'immondizia e me lo sono tenuto in casa".
Il mio secondo lungometraggio è ancora stabile su questo pc e credo ci rimarrà ancora per molto.
Una volta ho pensato: "qual è il momento in cui mi sentirei veramente realizzato?". Credo che vedere in un cinema della mia città, all'inizio della proiezione, la dicitura "scritto da..." mi farbbe sentire sufficientemente "arrivato". La mia vita sarebbe finita, non avrei più bisogno di vedere la Nuova Zelanda o fare paracadutismo. Avrei avuto tutto.
A 20 anni ho letto nella stessa estate "Latinoamericana" di Ernesto "Che" Guevara e la raccolta di discorsi di Enrico Berlinguer selezionata da Veltroni e ho scoperto che a 20 anni non si poteva starsene davanti a un pc a scrivere di ragazzi suicidi mentre il mondo andava a rotoli.
Allora ho scoperto la politica. L'unico strumento in grado di cambiare la vita delle persone. O almeno così credevo.
Per un breve lasso di tempo credo di essere stato tanto ingenuo da pensare di volere diventare diplomatico. Quanto basta almeno per iscriversi alla facoltà di Scienze politiche, corso di laurea internazionale.
Poi ho studiato il diritto internazionale. Come viene costantemente disatteso. Ho studiato le risoluzioni dimenticate dell'Assemblea Generale e del consiglio di sicurezza. Ho studiato le peggiori nefandezze condotte in giro per il mondo dai paesi che ci hanno salvato dal fascismo. Ho studiato gli effetti perversi della globalizzazione, le distorsioni di una finta economia di mercato mondiale.
Nel frattempo la società si è culturalmente impoverita, si è imbarbarita e delle belle idee di Ernesto ed Enrico probabilmente anche a sinistra stavano incominciando a sbattersene.
Dev'essere in quei mesi che è nato il Partito Democratico, quando le idee stavano cambiando ed io ero rimasto indietro. Se c'è stato un momento in cui ho pensato di dedicarmi alla politica per professione, sicuramente è successo troppo tardi. I tempi erano cambiati, o forse ero cambiato io. Yes we can.
Poi una splendida ragazza mi ha regalato "Cecenia" di Anna Politkovskaja. Me lo sono letto tutto aspettando un volo in partenza da Orio al serio, una fredda mattina di dicembre.
In quel momento ho capito che quel libro aveva "fatto" molto di più delle attività di tutti i partiti di opposizione russi messi insieme. Una giornalista aveva aperto una finestra sulla situazione cecena, contribuendo a diradare la coltre di nebbia che aveva fino a quel momento tenute nascoste le peggiori angherie a cui la popolazione era stata sottoposta.
"Fantastico!"L'illuminazione. Volevo fare il giornalista.
E' trascorso un anno e mezzo e quel bagliore non è ancora venuto meno, forse è stata la chiamata giusta.
Ho ricostruito questa storia sdraiato a letto, in una delle tante notti insonni che mi separano dalla comunicazione che attendo: se sono stato o meno ammesso alla scuola di giornalismo di Milano.
Quando l'insonnia persiste mi arrabbio. Penso a quante persone fanno professioni senza nessun particolare amore per il proprio lavoro. Potrebbero fare gli architetti come i collaudatori di metropolitane, per loro non farebbe differenza.
Non interessa a nessuno che io invece lo voglia davvero, però è così.
Vorrà dire che continuerò a dirlo tra a me, sdraiato sul letto con le finestre della stanze spalancate nel disperato tentativo di creare un magico gioco di correnti d'aria.
Vorrei poter dire che è il caldo che non mi fa dormire.
Tifate per me!
Jerome