O Viagem*
Sono tornato.
Senza averlo premeditato ho deciso di scrivere un diario on the road della mia esperienza; raccoglie quello che ho visto e quello che ho pensato. E’ molto lungo, anzi realizzo solo ora che è forse uno dei testi più lunghi che abbia mai scritto ( tranquilli la mia sceneggiatura inedita da 153 pagine è per il momento esclusa). Perciò leggete il tutto se avete tempo e soprattutto voglia, anzi vorrei dirvi di non leggerlo per niente. Io stesso mi limito a ricopiare ciò che ho scritto sul quaderno perché il solo pensiero di correggere mi mette i brividi. Perché lo pubblico? Non lo so. In fondo come ho appena scritto nessuno è obbligato a leggerlo; e poi mi sono in qualche modo convinto che ci siano più lettori abituali di quanti si dichiarino, o lascino comunque commenti, perciò se hanno intenzione di capire che tipo sono, oggi, domani o non so quando, capirlo attraverso le mie riflessioni in un viaggio come questo può essere una buona strada.
Buona lettura, e dato che ci siamo Buon Natale, il prossimo, quando avrete finito di leggere.
GIORNO UNO
Come ai vecchi tempi, i diari scritti a mano. Il mio viaggio non comincia decisamente con il piede giusto, continuo a dimenticarmi il nome del paese cui sono diretto. Sarà che la mia scelta è stata insolita, un remoto paesino del Douro Occidentale, Amarante.
Amarante, perché non riesco a memorizzare questo nome? Credo sia per via del tipo di viaggio che ho deciso di compiere, facendo mia la prospettiva che Saramago assume nel suo “Viaggio in Portogallo”, forse l’unica cosa che sono riuscito assimilare da questo strano diario di viaggio.
Viaggiare non è raggiungere un posto e poi un altro, perché il viaggio non ha un inizio e nemmeno una fine. E’ un processo continuo; poco importa se Amarante non mi entra in testa, il viaggio è altro.
Il percorso, prima di tutto. La rete ferroviaria portoghese sembra uno scherzo per un paese che fa parte dell’Unione Europea da 20 anni. Accade perciò che , qualunque sia la tua destinazione, almeno 2 o 3 cambi li devi fare. Poco male per un paese che nel 1986 aveva solo
Fin dall’inizio il tragitto si dimostra piacevole e speciale. Passo dal primo treno, il regionale Coimbra-Porto, moderno e colorato, al secondo, un rudere degli anni sessanta che si avventura verso la zona più inospitale del Portogallo, di cui parlerò dopo, fino all’ultimo, un treno ad un solo vagone su una linea a scartamento ridotto, cioè ad un solo binario, che attraversa boschi e colline come la navetta di Gardaland. Un vero spettacolo, darei qualsiasi cosa per vedere la scena dall’esterno, questo piccolo mattoncino di lego che si inerpica per le colline.
Siedono tutti sul lato destro, all’inizio non capisco. Poi realizzo, quando il rio Tamega appare in tutto il suo splendore a fondo valle i viaggiatori abituali hanno già preso i posti migliori.
Questo trenino-navetta fa delle fermate in posti assurdi, nel mezzo di una collina, soltanto poche case attorno, sembra una fermata ad hoc per uno quei pochi contadini.
Quando sto per arrivare a destinazione inizio ad avere una sensazione che poi si rivelerà fondata: qui i turisti non arrivano.
Ed in effetti è così, non a metà Gennaio almeno. Sceso dal treno, al capolinea, ho l’impressione di essere osservato come un alieno, forse lo sono. Mi guardo nelle vetrine, io mi noterei in mezzo a tutti i normali cittadini di Amarante.
Amarante, credo di averlo imparato.
Scelgo subito dove dormire. Una piccola pensione vicino alla stazione, al secondo piano di un edificio. Mi accoglie una vecchina molto loquace, mi dice di aver pensato che fossi portoghese da come parlavo. Se non avesse avuto 115 anni le sarei anche saltata addosso per baciarla dalla felicità. La stanza che mi offre è ricavata da un appartamento dove vivono altre 2 persone che escono sistematicamente dalle loro quando io entro nella mia. Poco male, io aderisco al gioco e faccio lo stesso.
La cosa più buffa che mi chiede è a che ora faccio la doccia, me lo chiede più volte. Che sia una sorta di Norman Bates e, in una sorta di Psycho alla rovescia, prepara un assalto con tanto di coltello mentre mi lavo? In ogni caso ci accordiamo per le otto, sembra soddisfatta.
La città è carina, un po’ piccola.
Le guide ti fregano in questo senso, ti spingono a visitare paesi come questo piuttosto che città più importanti, ma più turistiche.
Giustissimo, ma si perdono un po’ le proporzioni. E’ sì graziosa questa cittadina, ma non c’è molto da vedere. In 2 ore mi vedo, nell’ordine, la Chiesa di San Gonçalo, il ponte omonimo in granito e il museo Amadeo se Souza-Cardoso.
A proposito di questo decido di visitare anche la mostra il cui cartellone recita qualcosa come “ da Mirò a Kandinskij”. Mi domando come siano arrivati artisti di questo calibro in una cittadina così amena.
Ancora una volta, capisco dopo. 30 quadri inutili di pittori minori più 2 due bozze di lavoro di Mirò e Kandinskij.
Il museo è deserto, quello alla cassa per poco non voleva vendermi il biglietto pensando che fosse uno scherzo. Non deve passarsela bene questo paese in quanto a turismo.
Beh, sono le 3.30 e ho visto tutto.
Mi sono fatto anche delle autofoto, sto cominciando veramente a pensare di non essere veramente stato nei posti in cui non ho fato foto. Sarà grave?
Che faccio? Torno a casa e faccio come si vede nei film quando il protagonista non sa cosa fare e si vede che comincia a termina dieci cose diverse, per lo più inutili, per poi rimanere comunque sfaccendato.
Alla fine dormo, è meglio.
Diavolo! Sono le otto. Devo mangiare, a monte la doccia e i suoi piani di agguato. Ho già scelto la mia meta nel pomeriggio, una trattoria un po’ fetida in un vicolo vicino alla stazione. Mi sembra sufficientemente vuota. Comincio a chiedermi: “cosa non lo è in questa città in una inutile giornata di Gennaio?”
All’ingresso, quando chiedo alla signora sulla porta se posso mangiare qualcosa, essa sembra incredula, vuole che ripeta. Al secondo tentativo mi crede e mi fa entrare, forse sta sorridendo.
Non mi fa nemmeno sedere che mi chiede se il maiale va bene, io naturalmente accetto senza sapere cosa e come mi verrà servito.
Mentre aspetto fantastico sulle improbabili portate che potrebbero capitarmi.
Un maiale intero con tanto di mela in bocca, una lingua di maiale alle erbe, interiora di maiale ai funghi.
Sono molto più fortunato, sembrano bistecche. Sono servite con 4 piatti diversi. Uno di insalata, uno di patate e uno di riso. Alla fine spazzolo tutto ma alla richiesta di un caffè avrei in realtà voluto chiedere uno stomaco nuovo.
Anche questa signora cerca di attaccare bottone più volte, ma intende i miei limiti con la lingua quando alla domanda: “ cosa vuoi da bere?” rispondo “ Dal nord, Milano”.
Non è sempre Domenica, ma insisto nella mia convinzione di piacere alle donne over 40, con calma valuterò in che modo questa potrà essere un punto di forza.
Esco e lo scenario è da film thriller, nebbia. Ma una nebbia in grado di sorprendere uno come me, che vive a Milano da 21 anni.
Non si vede a distanza di 10/15 metri, le strade sono deserte.
Che strano, non ho per niente paura. Visto in un film non l’avrei visto troppo bene il protagonista.
Ripercorro le stesse strade del pomeriggio, incontro sì e no quattro persone in quindici minuti. Arrivo sul ponte e la nebbia è talmente fitta che non vedo nemmeno il fiume.
Torno a casa, è meglio.
Mi decido a scrivere questo diario. E’ come con lo studio, scrivere aiuta a fissare meglio quello che hai letto, in questo caso visto.
Sono il primo a sorprendermi; ho scritto quattro pagine eppure non mi sembra di aver visto tanto.
Il Viaggio, Saramago docet.
GIORNO DUE
La mattina successiva quando sollevo la tapparella vedo un buio che mi evoca ricordi. E’ lo stesso di quando mi alzavo le mattine di inverno per andare al liceo, quando ti dici: “ No dai, stamattina no!” e poi sei puntualmente dietro a tuo banco.
Anche quando esco ho un ‘altra sensazione di Deja-Vu, come la sera precedente tutto è bagnato fradicio, ma non piove. Deve aver diluviato la notte mentre dormivo, il che ha acceso in mente le più improbabili fantasie circa lo scrivere un romanzo dal titolo “Il paese dove piove di notte”© .
Devo prendere quattro mezzi diversi oggi, se perdo una coincidenza sono completamente sfottuto ( perdonatemi lo scivolone, ma non mi veniva in mente proprio nient’altro). Questa considerazione giustifica tutta la mia tensione di fronte al ritardo prolungato che precede l’arrivo del piccolo treno-funicolare. Ho sei minuti di marginare e questo arriva con 15 di ritardo. Per fortuna il capostazione mi spiega che essendoci solo 3 corse al giorno tutte le coincidenze sono rispettate, ad infatti alla stazione di cambio, la remota Livraçao, un treno ferroso aspetta solo me sull’altro binario.
MI siedo e commetto ancora lo stesso errore, tutti siedono a sinistra, perché? Perché il tragitto fino a Tua, altra stazione di cambio, è davvero incantevole, quasi
Sfortunatamente sale una comitiva/famiglia-molto-allargata in gita da qualche parte. Ora sembra di essere ad una festa di paese, ed il silenzio della natura è rotto. Ancora una volta mi salva lui, il grande Ipod, in grado di annullare anche il più acuto strillo del bebè dietro di me. Le mie orecchie sentono solo Oasis, Ludovico Einaudi, Franz Ferdinand, Tori Amos, Francesco Renga e tanti altri. Trascorro il resto del viaggio pregando che il “da qualche parte “ di sopra non sia la mia stessa destinazione, la remota Mirandola cui si accede da un’altra linea a scartamento ridotto, naturalmente è così.
Ma quello che mi si presenta agli occhi annulla tutto. Il primo tratto della linea Tua-Mirandela è forse una delle cinque cose più belle che abbia mai visto in 21 anni, un solo binario che sembra come abbarbicato in qualche modo sui bordi della montagna, guarda una gola stretta in mezzo alla quale scorre un fiume.
Ogni tanto cerco di mettermi a leggere ma non ci riesco, lo spettacolo è troppo bello, attorno natura incontaminata con la I maiuscola, nessuna traccia dell’intervento dell’uomo, fatta eccezione per i due binari che peraltro vi si integrano perfettamente.
A volte sembra di essere in un film di Indiana Jones, in cima alle Ande, ancora una volta chissà cosa darei per vedere questo treno mono-vagone che attraversa la gola. Sono estasiato, ma più passa il tempo più il segno dell’uomo si fa sentire e quando torniamo in collina si possono scorgere già i primi ponti autostradali e il paesaggio comincia ad annoiare. Sosto a Mirandela, mangio due toast e prendo il primo Pullman per Bragança, nel cuore del Tras-os-montes, definita da tutti la regione più inospitale del Portogallo.
In effetti al mio arrivo tante cose non mi sono chiare. Tanto per cominciare la stazione dei treni; bizzarro se si pensa che Bragança non è (a questo punto, più) servita dalla rete ferroviaria. Un tempo qui arrivava il treno,ora non più. Una sorta di involuzione tecnologica?
La seconda stranezza è che il signore a cui chiedo indicazioni si ostina a parlarmi un misto di portoghese e spagnolo. Cerco di fargli capire in ogni modo che sono italiano ma poi realizzo dove sono, a meno di
Raggiungo il mio ostello, uno dei più fighi in cui abbia mai sostato (secondo solo a Vienna, ricordi Compagno?). Due cose sconvolgono il mio primo contatto con il posto. Nel corridoio verso la mia stanza incrocio una ragazza cicciotella con i capelli neri raccolti dietro, saluto per educazione, poi qualche passo più avanti sgrano gli occhi: “Dove l’ho già vista?” In sei ore nessuna risposta, dev’essere colpa di “Lost”, vedo collegamenti dappertutto. La seconda è che perdo tutte le foto e i video della macchina digitale, e soprattutto lo faccio nel modo più stupido possibile. Qualcosa di molto simile al “ Ma dai! C’è un tasto CANCELLA TUTTE LE FOTO, chissà se funziona…. NOOOOOOOOOO. PORC XXXXISIS “
Esco disperato, in questo mod nessuno potrà vedere quello che ho visto in quella gola o, ancor peggio, non ci sono mai stato! Nel frattempo la mia mente medita soluzioni….
Bragança ci sta dentro. La periferia è cemento violento ma il centro ha il suo fascino, la citadela poi è senza dubbio spettacolare, conservata perfettamente nonostante VIII secoli di storia e un terremoto che ha devastato pesantemente tutto il Portogallo. Peccato soltanto che in 20 minuti non abbia incontrato una sola persona. I negozi sono quasi tutti chiusi, dalle poche abitazioni nessun rumore di televisione. E’ tutto un po’ spettrale, meglio levare le tende.
Visto anche il centro mi accorgo di una sacrosanta verità: cammino troppo in fretta. Sono le 18.30 infatti e ho già finito le cose da vedere, un quarto d’ora più tardi sto già cercando dove andare a mangiare. Ho una voglia incontrollata di pizza e, Oscar Wilde insegna, non assecondarla sarebbe peccato.
Sono l’unico cliente del posto in cui entro. Un po’ perché è presto, un po’ perché la città è davvero deserta. La cameriera, una ragazza dall’età indecifrabile 17-29 anni, ha con me un atteggiamento piuttosto strano. A metà strada tra quella che vuole controllare che io non rubi niente e quella che vorrebbe attaccare bottone con me. Mi controlla ogni 5 minuti, mi porta via tutte le portate quando l’ultimo boccone non ha ancora raggiunto il palato. Forse mi guarda perché sono solo, in effetti non sono tanti quelli che viaggiano da soli, o forse perché non ho la faccia del “viaggiatore solo”, chi lo sa.
Torno in ostello, sconfortato dalla peggiore delle sciagure possibili: mi si è scaricato l’Ipod. Domani dovrò trascorrere un giorno senza, 5 e più ore di pulman, meglio non pensarci. Compiliamo il diario di viaggio che è meglio, anche la nona pagina è completa. Un dubbio mi assale: trascriverò mai tutto questo?
GIORNO TRE
Sveglia all’alba, letteralmente anche prima. Esco che c’è quel buio umido che avevo già sperimentato la sera prima. Il pullman per Viseu è pressoché vuoto, mi domando chi ci guadagni a far andare un bestione del genere per tre persone soltanto. Faccio appena a tempo a mettere in moto i pensieri per una persona e sto già dormendo. Mi sveglio quasi a destinazione, tre ore dopo, con rari intervalli durante il sonno.
Benedico le Lonely Placet, potrebbero scalzare le mie amate Routard, ti spiegano in 2 righe dove sei quando arrivi. Chiunque voglia osservare che così ti perdi il gusto dell’avventura di chiedere dove sei e che un tempo non c’erano le guide ha certamente tutto il mio sincero supporto.
Viseu. Una cattedrale senza dubbio affascinate,, una chiesa anonima di fronte, un centro di viuzze e un edificio orribile del centro di salute pubblica. Tutto qui direi. Ancora una volta non capisco, com’è possibile? Cammino troppo in fretta? Non mi soffermo abbastanza, non faccio foto? Sono superficiale?
Perché ovunque vada, da solo, vedo tutto in 3 ore?
Cammino, cammino, cammino e alla fine mi rendo conto che, per quanto l’inventore della bussola porti il mio nome di egli devo aver conservato solo quest’ultimo ( o forse l’inventore della bussola non aveva ALCUN senso dell’orientamento e PERCIO’ inventò la bussola, poco male…)
Insomma sono finito completamente dalla parte sbagliata. Devo rifare zaino in spalla tutta la strada che all’andata avevo fatto in discesa, in salita. Speriamo che il mio fisico ne risenta positivamente, coltivo ancora segretamente il sogno di tornare a marzo aitante e muscoloso.
(Le risate pre-registrate non erano previste, grazie)
Mi fermo in un posto dove normalmente non mi fermerei mai, quei bar nel centro città un po’ “fighetti”, sperando che la terminologia sia comprensibile a tutte le latitudini.
Sesto senso o cosa dentro trovo l’atmosfera giusta, mi siedo e posso mettermi a scrivere senza che nessuno faccia problemi.
Il cameriere capisce incredibilmente che sono italiano soltanto dal mio “Uma tosta mista”, poi mi spiega in portoghese di aver passato 20 anni in svizzera a lavorare e di aver imparato lì l’italiano.
Lo guardo e realizzo due cose contemporaneamente. La prima è che non avrà più di 26 anni, la seconda è che il mio portoghese deve ancora fare passi da gigante, la mia comprensione di ciò che mi circonda è ancora molto, molto parziale, talvolta persino fuorviante.
Cavolo, è l’una. Cosa faccio altre 5 ore in questa città?
TORNANDO
In realtà una risposta ce l’ho. Non importa quanto vai lontano, quanto isolato sei, per quanto tempo ci vai, le risposte che cerchi potresti non trovarle lo stesso. Non almeno se non sei predisposto a trovarle. Non le troveresti nemmeno in cima all’Everest altrimenti, guardando il migliore paesaggio che la natura può comporre.
L’illuminazione che cerchi può arrivare in una mattina piovosa in mezzo ad un viale trafficato, a casa bevendo un caffè, non importa dove.
Mi sembra come quelli che, stressatissimi, pensano di potersi rilassare staccando la spina trascorrendo una settimana in un paradiso tropicale.
Scelte giuste, scelte sbagliate. Persone giuste, persone sbagliate. Parole di troppo, parole non dette. Sogni, prospettive, direzioni. Futuro. Questo viaggio non ha risposto a nessuna di queste domande.
Forse però pretendere da esso delle risposte sarebbe come mettere ad esso dei paletti, delle conclusioni.
Impossibile. Impossibile trovare una fine. Il viaggio è ancora in corso
Jerome
(*nota di servizio. Dopo ben 14 giorni dalla stesura del post e quasi 5 mesi in Erasmus in Portogallo mi rendo conto che Viagem è femminile e non maschile e perciò sarebbe "uma viagem", ormai rimane così, a memoria del mio ottimo apprendimento della lingua portoghese... by the way il risultato del mio esame di portoghese è 11/20, i crucchi che arrancano persino su frasi come "Mi chiamo..." e "Io sono..." si attestano sul 13, giusto per dare un'idea delle ingiustizie della vita)
3 Comments:
Ricordo ricordo l'ostello di Vienna, aveva poco dell'ostello e molto dell'hotel.
Il viaggio non ti avrà dato le risposte che cercavi, ma sicuramente deve essere stato una figata pazzesca.
Girando da soli si fa prima a fare tutto, non si parla, non c'è il compagno che si ferma ogni due per tre a filmare, non c'è il compagno che si ferma a guardare tutti i menù enogastronomici...insomma non c'è insieme uno come compagno di merende :-D
jerome, caro, la risposta non l'hai trovata nel viaggio, perché, come diceva qualcuno, è dentro di te. e nel tuo caso è giustissima
Concordo con omfaloscopia. nel viaggio non trovi la risposta ma un mezzo per arrivare a questa
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